La statua del giovanetto selinuntino, scoperta
nel 1882 nella contrada Galera, si trova al Museo
Civico di Castelvetrano.
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Efebo bronzeo (V sec. a.C.)
Museo Civico di Castelvetrano
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Questo reperto rappresenta un esempio rilevante della
statuaria bronzea della Sicilia greca a noi pervenuto. Singolarmente
avventurosa è stata la sua storia dal primo rinvenimento. Trovato
per caso da un contadino sotto un leggero strato di terra, fu acquistato
dal Comune di Castelvetrano per la somma di lire 50. La statua
che al momento del ritrovamento, era mutila delle braccia, di parte del
piede destro e di alcune dita della mano sinistra, venne sottoposta ad
operazioni di restauro presso il Museo Archeologico di Siracusa. Tenuta
nel gabinetto del Sindaco a Castelvetrano, venne trafugata nel 1962.
Ritrovata dopo vane vicissitudini, venne sottoposta ad un secondo
restauro presso l'Istituto Centrale di Restauro di Roma e finalmente
dopo una sosta al Museo Archeologico di Palermo, restituita alla città
di Castelvetrano, che le ha riservato un posto di centralità nel suo
Museo.
Il bronzo alto circa 85 cm., databile, a parere degli esperti, ai
primi decenni del V a.C., rappresenta un adolescente nudo in
posizione eretta con la gamba destra un po' inclinata in avanti. Nelle
mani recava forse oggetti cultuali. La statua nel suo insieme ben fatta,
anche se non perfettamente curata nei particolari, unisce elementi
dorici, che si possono cogliere nella composizione delle spalle e della
testa, con tratti della statuaria attica, presenti nella struttura
somatica e nell'astrazione dell'espressione. Il
capo ornato da una pettinatura elaborata poggia su un collo esile.
Minuti e gentili sono altresì i tratti facciali. Singolare la
fissità dello sguardo, determinata anche dalla pasta vitrea di color
bianco di cui è costituito l'occhio. La bocca chiusa sembra accennare
un sorriso che aleggia misteriosamente sulle labbra carnose, accentuando
l'ambiguità del personaggio. L'Efebo, secondo gli studiosi, pecca di
incoerenza stilistica nelle singole parti e nel loro rapporto, cosa
dovuta anche alla eterogeneità dei materiali di costruzione, ma
soprattutto ad un'antica operazione di restauro come è stato appurato
dall'Istituto Centrale del Restauro di Roma. In ogni caso è stata
esclusa una sua presunta paternità fidiana, mentre molte affinità sono
state individuate tra l'Efebo selinuntino e la metopa di Atteone
sbranato dai cani (tempio E. collina orientale), per cui sembra
accettabile l'ipotesi di chi, come il Pace, vede nel bronzo di Selinunte
l'espressione della scultura siceliota nel suo arcaismo più evoluto, o
di chi, come il Paribeni, parla di doppio linguaggio o di opposizione
tra arte colta e arte plebea.
Ma chi raffigurava l'Efebo? Un kouros siceliota o la divinità
del flume Selinos? In quest'ultimo caso il ramoscello che recava in mano
poteva essere il selinon. La mancanza di fonti letterarie ed epigrafiche
al riguardo, non permettono una risposta sicura. Così
anche l'identità dell'Efebo selinuntino rimane avvolta da un velo di
mistero.
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