![](images/wpe30.gif)
L'enfasi e la meraviglia che destano le rovine di Selinunte
sono proverbiali. I superlativi, le metafore, i toni
appassionati che caratterizzano le impressioni dei grandi
viaggiatori su Selinunte potrebbero essere contenute in un
libro dell'iperbole.
Cliccare sulle foto per
ingrandire
Scrisse Algernon Charles Swinburne: "I resti di
Selinunte sono sparsi in diversi splendidi cumuli; le numerose
colonne ancora in piedi da lontano somigliano ad una grande
città dalle molte guglie...". Per Guy de Maupassant,
Selinunte è "un immenso accumulo di colonne crollate, ora
allineate ed affiancate al suolo come soldati morti, ora
precipitate in maniera caotica".
![](imgSelinunte/parco.7.jpg)
![](images/Selinus_city_map.jpg)
Di fatto, l'eccezionalità di Selinunte è data dalla vasta
quantità delle sue rovine, dalla loro mole e dal loro
pregio, tutti elementi che, insieme, è difficile rintracciare
in altre parti del mondo occidentale. Dal 1993 è stato
istituito il Parco archeologico, grande 270 ettari, e non c'è
giorno dell'anno, dalla primavera all'autunno, che folti
gruppi di visitatori non si aggirino tra spezzoni di colonne e
il muschio che le accarezza, tra i decori dei basamenti e i
ciuffi di lentisco che vi crescono nelle fessure, tra quei
blocchi di pietra giallo oro lavorati dall'uomo, in bilico uno
sull'altro, in una natura selvatica cresciuta con essi;
qualche radura, piccole siepi, cespugli di fiori, fiocchi di
prezzemolo, pochi alberi, tante varietà di verde, tutto
fuori dal tempo, museo arbitrario, sfida alla misura e
all'armonia.
Ci si perde, fra pietre e cielo, ci si nasconde
dietro i rocchi e si riappare sotto un'architrave, minuscoli
sotto i templi superstiti, giganti muti a ricordare la gloria
del loro essere dèi. Nacque ricca, Selinunte, fondata alla
metà del VII secolo a.C. da coloni di Megara Hyblaea, vicino
Siracusa, spintisi nel cuore dei domini cartaginesi
nell'Isola. La più occidentale delle colonie greche di Sicilia
era nella tana del lupo, fra gli Elimi di Segesta e i
Fenicio-Punici di Mozia. Ma per due secoli fu florida e
potente, con una propria zecca, popolosa - sembra - di 80.000
abitanti, su una collinetta calcarea circondata da due fiumi,
il Modione (l'antico Sélinus) e il Cottone, sulle cui rive
cresceva, rigoglioso, il prezzemolo selvatico (il sélinus,
appunto: onde Selinunte), in un terreno fertilissimo -
secondo una leggenda, bonificato dal grande Empedocle,
chiamato per l'occasione - che digradava verso il mar
d'Africa, al di là del quale la osservava, preoccupata, la
terribile Cartagine. Eppure i rapporti fra le due città furono
per molto tempo di convivenza pacifica, fondati soprattutto su
scambi commerciali.
![](imgSelinunte/parco.26.jpg)
A
parte le frequenti liti di confine con Segesta, a
Selinunte si andavano stabilizzando, accanto all'originaria
anima filo-greca, usi, costumi, mode tipicamente punici. E
forse anche per questo il suo sviluppo artistico risulta più articolato e originale rispetto
a quello di altre colonie greche della Sicilia orientale, come
si può ammirare nelle straordinarie metope
![](http://www.robertvandermeer.nl/Selinunte/images/selinus_temple_E_metope.jpg)
che ornavano le
fronti dei templi, delle quali rimangono sedici esemplari che
costituiscono il maggior vanto del Museo archeologico
regionale di Palermo; ovvero, anche, nel cosiddetto
Efebo di Selinunte in bronzo, da poco trasferito al
Museo civico di Castelvetrano, che presenta, accanto ad
un'impostazione tutta greca, chiare caratteristiche indigene.
Rapidamente la città estese i propri domini, fondando
Eraclea Minoa (570 a.C. circa) e impadronendosi di un vasto
territorio interno, ricco di grano, sino alle foci del
Platani. Le fonti ci parlano di un progressivo atteggiamento
filo-cartaginese della classe dirigente, giunto al punto da
dare ospitalità a Giscone, figlio del generale punico Amilcare,
caduto nella grande battaglia di Imera (480 a. C.), che aveva
visto i Cartaginesi sconfitti dalle forza greche, e nella
quale Selinunte si era dichiarata neutrale. Finchè, esploso il
conflitto tra Atene e Siracusa - sorto proprio sulla richiesta
di aiuto ad Atene da parte di Segesta, in occasione di
un'ennesima controversia territoriale con Selinunte -, chiamò
in aiuto Cartagine.
Durò nove giorni l'assedio, alla fine del quale (siamo nel
409 a.C.) Selinunte fu distrutta dopo una disperata
resistenza. In seguito il siracusano Ermocrate ne
ricostruì le mura e tra le rovine stabilì il suo quartier
generale, chiamando all'appello le popolazioni siceliote
contro la minaccia cartaginese. Tentativo vano. Nei nuovi
assetti politici fra Siracusa e Cartagine, Selinunte - quel
che restava di essa - rimase sotto il domino punico. E alla
fine del III secolo a.C. i Cartaginesi la rasero
definitivamente al suolo per non farla cadere in mano ai
Romani. I sopravvissuti vennero trasferiti a Lilibeo. Piccole
comunità ne frequentarono l'acropoli in epoca bizantina e
araba. Poi, di Selinunte si perse anche il nome. La località
veniva indicata come "Casale degli idoli" o "Terra di li
pulici".
![](imgSelinunte/parco.32.jpg)
Solo nella metà del '500 il monaco domenicano Tommaso
Fazello identificò correttamente l'antica città. Certo,
anche a distanza di 2.500 anni queste rovine - volendo
escludere la possibile azione di terremoti - sembrano il
risultato di un accanimento furioso, come se gli aggressori
avessero voluto punire una città che, nella sua presunzione,
avesse troppo osato. Non troveremo risposte aggirandoci tra le
macerie, ma solo stupore e un incessante brulicare della
fantasia.
![](imgSelinunte/parco.34.jpg)
Selinunte è una metropoli dell'antichità, al
centro del più grande parco archeologico del Mediterraneo,
colonne e rovine di colossali templi greci sono i resti della
città
Gli scavi archeologico di Selinunte ebbero inizio nel 1825 ad
opera di due architetti inglesi, Harris ed Angeli, che vi
scoprirono alcune delle metope che ora si trovano presso il
Museo archeologico regionale di Palermo. Da allora sono
continuati quasi ininterrottamente e continuano ancora oggi;
data la vastità della zona, gran parte della città resta
ancora sotto terra.
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